Il Personaggio: “Mi chiamo Massimo Decimo Meridio”, meglio noto come Nicolò Brighenti

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Se la memoria di ogni essere pensante avesse piena abilità nel fare voli pindarici di lunga durata, certamente starebbe ricordando cosa accedeva nelle vostre vite il 19 maggio 2000. No, non vi chiederemo di fare corsi e ricorsi storici nel passato, anche perché qualcuno di voi probabilmente non era neppure nato. Sarà chiesto, dunque, di accomodarsi e di cercare di far riaffiorare reminiscenza di quel giorno, posto in un tempo inconsueto, tra le ultime fioriture primaverili e l’avvento della stagione calda.

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Riavvolgiamo il nastro. Era venerdì, e come ogni fine settimana che si rispetti, ci si aspetta possa andare in scena un’intera giornata di campionato, prima del sopraggiungere del calcio moderno e del famoso “spezzatino”. Invece no, i giochi erano chiusi già da una settimana. La Lazio si era appena laureata campione d’Italia, da lì a poco il Real Madrid avrebbe vinto l’ottava Champions League della sua storia e, tra le altre, il Catanzaro di mister Esposito prima, di Torrisi poi e, infine di Galluzzo avrebbe concluso la propria stagione al nono posto della classifica del Girone C in Serie C2.

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Avvenimenti del tutto insoliti, tipici del cambiamento che ha portato con sé il nuovo millennio. Effettivamente, il primo weekend senza partite dell’anno non ha deluso le aspettative di chi pensava di iniziare a fare le valigie per le vacanze, poiché in tutte le sale cinematografiche italiane era possibile visionare, per la prima volta, il film “Il Gladiatore”.

Quale miglior occasione, ancor prima dello “spietato” arrivo di Netflix, di recarsi al cinema ad osservare le gesta di Russell Crowe, nonché Massimo Decimo Meridio, protagonista indiscusso della vicenda. Dopo il breve ma doveroso riepilogo storico, direi che siamo pronti a partire. Tenetevi forte. “Il generale romano Massimo Decimo Meridio, comandante dell’esercito del Nord, ha condotto ancora una volta i suoi legionari alla vittoria”, inizia così la trama di questa storia.

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Momento. Era nostra intenzione divulgare l’incipit di un’altra storia, probabilmente dai tratti simili. Ripercorriamola insieme. “Il generale veneto Nicolò Brighenti, comandante della difesa del Catanzaro, ha condotto ancora una volta i suoi compagni alla vittoria”. In stato febbrile e sul difficile e ostile campo del Cosenza, aggiungeremmo noi. Suona meglio ora?

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Non sappiamo se lo stesso Nicolò abbia tra le sue pellicole preferite proprio quella sopra citato, quel che possiamo assicurare è che se Crowe decidesse di fare una rivisitazione del suo prodotto, la presenza del ragazzo di Bussolengo si rivelerebbe indispensabile.

Seguendo la linea della vita del “comandante” veneto avrete, ben presto, percezione di quel che sta per essere raccontato. Molto più di una partita di calcio, un vero e proprio domino con la vita. Una storia fatta di calma e resilienza. A guidare prima le vicende personali e poi le retroguardie delle compagini in cui ha militato. Da vero comandante. Come sempre. Se, casualmente, vi capiterà di dare una sbirciata alla definizione del termine “comandante”, non potrete dissociarvi da quello quanto segue.

Comandante, sostantivo maschile e femminile, nonché “la persona cui è demandata la condotta e la responsabilità di un’impresa unitamente ai poteri e all’autorità corrispondenti”. Avete ben compreso, se la Treccani conoscesse il numero 23 giallorosso, risparmierebbe inutili giri di parole, per rifugiarsi ad un’unica allusione del concetto: Nicolò Brighenti.

“Al mio segnale, scatenate l’inferno” (La celebre espressione pronunciata da Massimo, per spronare il proprio esercito alla battaglia). Il segnale che fosse uno di quelli per cui sarebbe valsa la pena puntarci lo si era ravvisato in quel di Verona, più precisamente sponda Chievo. Lì dove il ragazzo classe ’89 muove i primi passi una carriera tortuosa, a tratti tumultuosa, ma ricca di soddisfazioni. I primi calci dati al pallone, tra Mezzocorona e Pergocrema, rispettivamente in Lega Pro di Seconda e Prima Divisione, si trasformeranno in breve tempo, in un incubo.

“Conoscevo un uomo che una volta disse: la morte sorride a tutti, un uomo non può far altro che sorriderle di rimando” (Massimo riferendosi a Marco Aurelio). Sarà proprio questo il momento in cui Nicolò indosserà il mantello del supereroe, comprendendo solo più tardi di essere divenuto un gladiatore. Dunque, la presenza di un tumore al cervello, seppur benigno, lo ha privato dell’opportunità di ricevere l’idoneità sportiva. Ma, come anticipato, questa è una storia di calma e resilienza. A gennaio 2010 è ancora svincolato dal ogni tipo di tesseramento, ma già agli inizi dell’annata 2010/11 è pronto per scendere in capo, con la maglia del Viareggio.

Nicolò Brighenti
Nicolò Brighenti

“Noi mortali non siamo che ombre e polvere. Ombre e polvere, Massimo!” (La pronuncia Proximo, il mercante degli schiavi che ha comprato Massimo). Nel 2012 si trasferisce al Vicenza. Perché il grande calcio non può non accorgersi del suo talento. Così diventa uno dei migliori del suo ruolo in Serie B. Ma, analogamente ai riflettori delle “big” puntati su di lui, vi è anche la luce della dea bendata, che quando colpisce sa sempre come far male.

Nicolò Birghenti

Un brutto infortunio alla spalla prima e al ginocchio poi, lo tengono lontano dal rettangolo verde, ma questa narrazione non è adatta ai deboli cuore. Anche perché nel settembre 2015 sopraggiunge un nuovo stop: lacerazione del pancreas in seguito ad uno scontro di gioco con il compagno di squadra Mauro Vigorito. Altro brutto scossone per una carriera che comincia a vacillare. Per tutti, ma non per lui.

“Non vi siete divertiti?! Non vi siete divertiti?! Non siete qui per questo?!” (La domanda che Massimo rivolge al pubblico dell’arena dopo aver sconfitto sei gladiatori). Tradotto: l’interrogativo che il difensore veronese dovrebbe proporre al destino dopo aver attraversato momenti di flebile debolezza.

Siamo tutti concordanti su un fatto: il vocabolo “debole” e i suoi derivati non esistono nel vocabolario di Nicolò che scalda nuovamente i motori e nel 2016 si trasferisce al Frosinone. Le solite noie fisiche non lo abbandoneranno neppure in uno dei momenti maggiormente spensierati della sua avventura professionale ma riuscirà comunque a realizzare il sogno di conquistare il traguardo della massima serie. E poi, se un vero Capitano si vede nelle cose che capitano, anche quando non dovrebbero… ecco che al momento della retrocessione in cadetteria, deciderà di legarsi al braccio la fascia dei ciociari, prima di un nuovo guaio alla caviglia sinistra.

“Ispanico! Ispanico! Ispanico!” (E’ il celebre grido di folla dell’arena quando Massimo diventa gladiatore). Chissà se mister Vivarini avrà mai riferito tale espressione al “suo” gladiatore, avendo ribadito, a più riprese, nel concedersi alla stampa, quanto effettivamente il vice-capitano delle Aquile incarni a pieno il personaggio descritto.

E’ stato proprio il tecnico di Ari a fornirci l’assist per trovare la giusta terminologia da affiancare ad uno dei senatori del gruppo giallorosso. Semplici, ma immerse di stima e affetto quelle spese in occasione del post-gara dopo il vibrante successo ottenuto nel derby di Calabria: “Brighenti è il nostro gladiatore, è una roccia!”.

La paura non si è mai impossessata del suo animo pacato e ribelle allo stesso tempo, neppure quella di retrocedere di categoria (in Lega Pro) alla chiamata del Catanzaro, ormai due stagioni fa. Vittoria schiacciante del campionato scorso e sorprendente cavalcata in quello attuale (in Serie B). Sempre a testa alta. Da comandante. O meglio, da gladiatore.

Proprio come con gli attaccanti avversari, spalleggiati ma puntati fissi negli occhi, perché d’altronde, come recitava Russell Crowe, “Un soldato ha il grande vantaggio di poter guardare il suo nemico negli occhi.”

A lezione di coraggio, maestria e consapevolezza (dei propri mezzi). Comandante Nicolò Brighenti.