Se Maradona, in un mondo parallelo, avesse scelto Catanzaro e non Napoli, alcuni tifosi catanzaresi (alcuni, per carità) lo avrebbero bollato così: “Bravo, è bravo. Però è basso, tozzo e non calcia col destro”.
Siamo sicuri che quella fetta di tifoseria (risicata, ma presente da sempre) avrebbe avuto da eccepire anche sul talento del più grande genio del calcio, di tutti i tempi. Figuriamoci, allora, che assist facile facile possa essere il rigore fallito al minuto 94′ da Pietro Iemmello o le scelte del mister Vivarini.
Dal fischio finale del “Partenio” in poi, alcuni si sono scatenati sui social. Immancabilmente, tra loro, si annidano anche quelli che non sanno recepire né interpretare un periodo di senso compiuto con soggetto, predicato e complemento e, nel cercare di leggere un articolo, nemmeno si spingono oltre il titolo, perché partono i giudizi, le sentenze.
Chiariamo una cosa, in linea con quanto espresso dal tecnico dell’US nel post-gara (LEGGI QUI): il pareggio colto ad Avellino è un risultato giusto, al netto delle dinamiche della partita. La squadra nel primo tempo si è approcciata con la consueta cattiveria e la padronanza della manovra a cui siamo abituati (“anche meglio di Torre del Greco”, come Vivarini sosteneva, rispondendo ad una nostra domanda). Nella ripresa, i giallorossi hanno subito, come mai fino ad ora, il ritorno dell’avversario, rientrato dagli spogliatoi carico a mille dal proprio, bravo, timoniere, Rastelli, restando imbrigliati nelle marcature asfissianti dei padroni di casa. Il ritmo si è alzato, in campo una partita degna del passato di queste due piazze, con l’Avellino che aggrediva e attaccava fino al pareggio e anche oltre. Poi, l’occasione decisiva: un calcio di rigore che Iemmello ha sprecato e in merito al quale nessuno di noi ha diritto di aprir bocca. Ciò è valso per il rigore di Baggio a USA ’94, è valso per Palanca contro la Triestina, vale per i più grandi, vale per tutti. Allora, demagogia e banalità a parte, quando si sbaglia, occorre solo avvicinarsi emotivamente all’emotività di chi ha sbagliato, in segno di sostegno e affetto. Specialmente se, a sbagliare, è un figlio di questa terra.
Allora, estendendo il ragionamento al cammino fin qui intrapreso dal Catanzaro, costellato di sole vittorie e due pareggi, perché mugugnare come se avessimo perso? Perché pontificare? Addirittura c’è chi parla di “ripartenza”, di “voltare pagina”! Ma, precisamente, “ripartire” da cosa? Chi si è mai “fermato”?! Perché interpretare come una sconfitta, un pareggio colto su un campo difficilissimo contro un avversario che, stando a quello che ha constatato lo stesso Vivarini, sarebbe stato meritevole di competere per ben altre posizioni in classifica? Stentiamo a comprendere.
Il Catanzaro, ripetiamo, deve rimproverarsi di non aver capitalizzato il vantaggio, andando fuori dal binario favorevole sul quale si era posto il match: vi sono indubbiamente delle responsabilità, non ricorriamo a scappatoie o timide attenuanti. Ma parlare di partita “mangiata”, di “aver regalato un tempo” all’avversario, è ingeneroso nei confronti di un Avellino e toglie merito agli irpini. Insomma, nel calcio, nello sport, c’è l’avversario, non è un assolo e questo, quella piccola parte di tifoseria che detiene il “patentino da tecnico” ottenuto presso “l’università della fuffa”, proprio non lo comprende.
Come possono, costoro, “resettare” quanto racimolato e dimostrato finora, con tale repentinità? Come si può salire e scendere dal carro a giorni alterni? Come si fa a passare, nel giro di poche ore, dal “vincimmi” al “perdistivu”?
Dovremmo prendere spunto da chi si sobbarca i chilometri, solo per sostenere, da sempre.