Claudio Ranieri: il più “Special” tra i “Normal One”

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“La grandezza dell’uomo si misura in base a quel che cerca e all’insistenza con cui egli resta alla ricerca”, diceva Martin Heidegger.

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Esiste una linea sottile, eppure molte volte invisibile, ad unire le menti dei grandi pensatori. Quelli che generalmente vengono considerati visionari e che, poi, traducono il bottino delle loro conoscenze in pura pratica. Si tratta di un equilibrio pirotecnico, ma pur sempre caratterizzato da quell’essenzialità tipicamente scientifica, vera componente del progresso teorico e analitico. Più semplicemente quel che riguarda lo spettro delle idee di ognuno, totale balistica o notevole forma di innovazione da mostrare.

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Chissà che nei suoi primi venticinque anni di vita, Claudio Ranieri non si sia lasciato ispirare, anche solo per un momento, dal pensiero del filosofo tedesco, o più semplicemente che non l’abbia catalizzato e racchiuso nei concetti di chi ha scoperto quel ragazzo di Roma Sud, Helenio Herrera, conosciuto dagli intenditori come “Il Mago”.

Deve averli, necessariamente, interiorizzati e fatti suoi quegli insegnamenti per portare con sé l’idea, lo stereotipo creatasi attorno a lui del “traghettatore”.

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Deve aver, scrupolosamente, analizzato ogni dettaglio di quella stagione 1991-1992 (conclusasi nel novembre dello stesso anno), sulla panchina del Napoli, per comprendere che non basta aver raggiunto una doppia promozione (dalla C alla A nel giro di due anni) e un’insperata salvezza sulla panchina del Cagliari, per evitare l’esonero. Il primo grande ostacolo della “gavetta” di un uomo che porterà con sé la pregiudicante etichetta di “traghettatore”.

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Si, il Cagliari, che tornerà prepotentemente nel corso della lettura e che tornerà quasi in maniera insperata nella vita di Sir Claudio (l’appellativo assegnatogli dai più).

Ma questa è una storia per uomini forti. “Uomini forti, destini forti …“, così recita un famoso detto (di “spallettiana” memoria).

La grandezza dell’uomo e le stimmate del “traghettatore”, si sa, nel mondo del calcio tendono la durata di un alito di vento in una giornata afosa. Lieve e fugace, giusto il tempo di respirare e poi ripartire. Quasi come se lasciare il segno fosse uno svantaggio o una forma di inadeguatezza per chi possiede tale caratteristica.

Dunque, giusto ripartire nuovamente da capo, giusto ripartire dalla cadetteria per riportare in B una Fiorentina che viaggiava a fari spenti. Neppure la conquista della Coppa Italia e della Supercoppa Italia, vinte rispettivamente contro le più blasonate Atalanta e Milan, fa sì che le gesta dell’uomo siano riconosciute nella sua totale interezza.

Ma si sa, “l’insistenza cui egli resta alla ricerca” rappresenterà lo slancio definitivo verso una nuova era. Il nuovo capitolo della vita di Claudio Ranieri si interseca con quello di Jorge Valdano, al quale subentrerà nel 1997, risalendo le burrascose correnti del campionato spagnolo dall’ultima alla nona posizione. Vincerà la Coppa del Re per emigrare nuovamente.

I primi anni 2000 saranno caratterizzati dall’approdo al Chelsea, al ritorno al Valencia (le sue storie d’amore sono come quelle cantate da Venditti, fanno dei giri immensi e poi ritornano), il tanto sperato ritorno in Italia sulla panchina del Parma, poi Roma (a testimonianza del grande amore tra il tecnico e i giallorossi-che non saranno gli unici ad avere quei tipici colori locali e a riservargli un trattamento degno della sua dimensione), Inter, Monaco e Grecia (da c.t).

Percorsi diversi, accomunati tutti da un simil epilogo e da una particolare congettura. In ogni club citato e in ognuna delle squadre allenate, l’obiettivo è sempre stato raggiunto, molte volte superando anche le aspettative prefissate.

Qualcuno potrà chiedersi cosa non sia andato e qualcun altro si sarà domandato il motivo per il quale si stato soprannominato “Sir” (utilizzato solo nel caso di Sir Alex Ferguson).

Adesso fermatevi un attimo e prendete fiato, esattamente come accadrà ai tifosi del Leicester City nel rivedere le festose immagini risalenti al 2 maggio 2016, data dello storico e sorprendente successo delle “Foxes” in Premier League. Quando nell’estate 2015 Claudio Ranieri si “accomodò” sulla panchina della neopromossa formazione londinese nessuno, tra gli appassionati di calcio e non, avrebbe scommesso che esattamente un anno dopo il bus scoperto sul quale “King Claudio” veniva prontamente elogiato, trasportava i campioni d’Inghilterra e non una formazione condotta tranquillamente alla salvezza (come veniva pronostico ad inizio stagione).

Deve aver percepito sensazioni inusuali in quei momenti in cui la sua opera d’arte stava per essere esposta al museo della storia del calcio. Ma è risaputo, “i capolavori più belli nascono dopo innumerevoli schizzi” ed è simmetricamente adattabile al fatto che le vittorie più belle nascano dopo una serie infinita di anni di gavetta.

Ma questa è una storia di calma, tenacia e rispetto. Lo stesso (rispetto) che porterà “Sir Claudio” ad ammettere che “ho capito vivendo a Londra, che due inglesi fanno un popolo ma 57 milioni di italiani no”.

La dimostrazione di una quantità di amore sconfinata riservatagli anche nelle esperienze con Fulham e Watford.

Dicevamo, “la grandezza dell’uomo si misura in base a quel che cerca e all’insistenza con cui egli resta alla ricerca”. E’ racchiusa tutta qui l’essenza di Claudio Ranieri.

E’ racchiusa nella standing ovation del 5 maggio 2022, in occasione della semifinale di andata di Conference League tra la “sua” Roma e il “suo” Leicester, in cui al momento dell’inquadratura sul maxi schermo dell’Olimpico la rivalità tra le tifoserie è stata messa da parte per far spazio ad un onorevole tributo a Lui riservato, riportando il calcio a quello che è, lo sport più bello del mondo.

Ecco, Claudio Ranieri ha avuto l’incredibile capacità di riportare, anche se solo per un attimo, il calcio alla sua essenza, incarnandone i valori, gli aspetti positivi e le reali motivazioni per cui continui ad essere lo “spettacolo” maggiormente seguito a livello mondiale.

Il primogenito di mamma Renata e papà Mario è divenuto improvvisamente figlio delle “terre che ha conquistato” e, pur essendo romano di nascita, è divenuto imperatore lasciando il segno, senza combattere delle vere e proprie guerre, solo percorrendo la strada delle sue idee, il credo della sua essenza.

Si è fatto amare dalla gente per la quale ha magistralmente “lottato” in campo, come Catanzaro, l’altra metà del suo cuore giallorosso. Otto stagioni, dal 1974 al 1882, divenendo il calciatore con più presenze nella storia giallorossa, ottenendo nel 2016 anche la cittadinanza onoraria, quasi a voler sancire la profondità dei sentimenti che accomuna un pallone che rotola.

Ma no, non è stato solo questo. Si tratta di una totale devozione, deferenza, quasi soggezione al cospetto di così tanta grandezza d’animo.

Ora però, riavvolgiamo il nastro. Ritorniamo ai giorni nostri.

È il 23 dicembre. E’ quasi passata inosservata la notizia di Claudio Ranieri nuovamente su una panchina, e non una qualsiasi, quella del Cagliari, del “suo” Cagliari (che sarebbe prepotentemente tornata nel destino del tecnico).

Travolti dall’esaltazione del mondiale invernale e dalla festa argentina, la squadra sarda non attraversava proprio il miglior momento della sua storia recente, occupando la 14esima posizione del campionato cadetto.

Notate come ogni club che abbia avuto l’onere e l’onore di avere con sé “Sir Claudio” vengano definito “suo”, prova che “casa è dove si trova il cuore” e quello di Claudio è immenso. Così ampio da estendersi da Cagliari fino a Bari, lì dove in occasione della finale playoff di Serie B, con i sardi che partivano con lo sfavore del pronostico – quinta posizione in campionato, due risultati su tre a favore della squadra pugliese e uno stadio totalmente gremito dai tifosi di fede biancorossa – ha dato, ancora una volta, dimostrazione della sua essenza.

E’ il minuto 94 quando l’attaccante Leonardo Pavoletti insacca la rete del vantaggio rossoblù. Cagliari in A. Lacrime di gioia per i sardi e di disperazione per i pugliesi.

Ma non esiste partita che si limiti alle semplici questioni di campo. Lo “sfottò” esclude qualunque tipo di razionalità, ammesso che esista nella gioia generale di una promozione in A.

E’ servito un anno al Cagliari per risalire la china. Sono bastati sei mesi a Claudio Ranieri per riportare l’ordine in una piazza spaesata e, in quel preciso momento, priva di entusiasmo.

Sono stati utili pochi secondi per dire ai suoi tifosi “NO”, facendo cenno di non continuare a ripetere il coro intonato dal tifo sardo, diretti nel tentativo di colpire i sostenitori della formazione avversaria, “che ha lottato con onore e orgoglio”.

Ancor meno tempo è servito, lo spazio di pochi secondi, a lasciarsi andare ad un pianto liberatorio, seguito dalle parole: “Così me la sognavo, proprio così”, detto da un uomo quasi 72 anni e dallo spessore di Sir Claudio fa sempre un certo effetto.

Qualche minuto dopo ammetterà: “Avevo dei dubbi sul tonare qui a Cagliari, pensavo “se va male perché sporcare al favola che ho dentro al cuore?”

E allora ecco che, probabilmente Martin Heidegger nello scrivere “la grandezza dell’uomo si misura in base a quel che cerca e all’insistenza con cui egli resta alla ricerca”, pensava ad uomini del calibro e dello spessore di Claudio Ranieri, colui che ha dato al “come” la stessa importanza del “quanto” si vince. Con amore, con rispetto, con tenacia.

E a chi, tra qualche anno, si chiederà chi sia stato Claudio Ranieri, chi glielo spiega che è stato un pittore (siglando i suoi capolavori più belli) e un poeta (nel gioco e nella vita) allo stesso tempo?

 

Alisya Alcaro

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