Tornate a casa dopo una lunga giornata lavorativa. Siete stanchi o, forse, solo un po’ affamati. D’altronde, sono circa le 18 e voi avete pranzato almeno quattro ore prima, è ordinaria amministrazione sentirsi a secco di energie. E quindi iniziate a rovistare in cucina, nella speranza di trovare qualcosa che possa colmare questo vuoto che attraversa lo stomaco. Vi accomodate, quindi, pronti a sgranocchiare uno spuntino che, probabilmente, neppure potrà soddisfare a pieno il senso di solitudine di un uggioso pomeriggio autunnale, quantomeno sarà utile nel colmare il senso di fame che vi assale, ripercorrendo nella mente le immagini di quanto accaduto pochi istanti prima con i colleghi sul posto di lavoro. Nulla di particolarmente sorprendente, quindi.
Sta per concludersi un’altra monotona serata, trascorsa sul divano, cercando di tenere in controllo il pollice che scorre in maniera impazzita sul telecomando, alla disperata ricerca del programma televisivo che possa coinvolgervi fino a spiazzarvi. Ma no, sarete già pronti a confrontarvi sul gruppo whatsapp con i vostri amici con cui organizzate il calcetto, rigorosamente di giovedì alle 21:30, ad affermare con decisione che “la tv non è più quella di una volta, meglio lasciar perdere” o talvolta, optare per una serie o un film su Netflix potrebbe rivelarsi soluzione più appropriata.
Proprio nel momento in cui, ormai in preda alla noia, vi addentrare nella scelta dei cibi da preparare per cena, ecco che arriva la classica notifica sullo smartphone. “Ora inizieranno a rispondere in merito alla considerazione che ho esposto sul gruppo con i miei amici”, penserete. E’ vero, il mittente è proprio un membro della vostra compagnia, ma vuole proporvi di accompagnarlo in quel famoso ristorante che avevate selezionato assieme per l’appuntamento più importante della sua vita. Finalmente la donna da lui amata ha accettato, dopo vari e vanificati tentativi, l’invito a cena rifiutato fino a quel momento. “Per gli amici questo ed altro!”, penserete tra voi e voi, salvo poi riflettere su quanto sarebbe stato di gran lunga più rigenerante sorseggiare la tisana fumeggiante dalla tazza sotto le calde coperte. Ma si sa, uomini forti destini forti…
Dunque, vi ritrovate già a tavola, assieme alla coppia che sta per nascere, quando arriva la cameriera a chiedere cosa possa essere di vostro gradimento. Siete tentennanti, incerti se deliberare per un primo o un secondo piatto. Il suo sguardo gentile e cauto vi colpisce, lei è bella e voi, invece, così goffi e sbadati, a tal punto da iniziare a sudare per via dell’ardua scelta da compiere, anche perché è risaputo: “L’uomo non è fatto per prendere delle decisioni. Basta vederlo al ristorante, davanti ad un menu”. Alla fine selezionate il piatto scelto in attesa che venga servito.
“Mangio in questo ristorante tedesco – cinese e il cibo è delizioso. L’unico problema è che un’ora dopo hai fame di potere”. Ecco, temiamo vi sarete sentiti come Dick Cavett alla vista di quella porzione di spaghetti, tipicamente italica, pronti a godere di uno dei sapori più buoni della nostra terra. Notate, però, che qualcosa non va. Gli occhi sono tutti puntati su di voi. Siete imbarazzati ma incapaci di comprenderne le motivazioni. Persino la cameriera della quale siete rimasti galvanizzati vi osserva sopraffatta. In realtà, la situazione delineatasi è peggio di come ve la sareste aspettata. Ben presto, comprenderete i motivi.
Ebbene sì, state arrotolando gli spaghetti su un cucchiaio analogamente a come avete aggrovigliato la vostra esistenza in questa serata, senza una regola stabilita. Nei ristoranti lussuosi, talvolta, vi sono dei canoni fissi dai quali non si può prescindere. Ora lo avete captato, regola numero uno: forchetta e cucchiaio non possono essere impiegate per consumare la medesima portata.
Per farvelo comprendere meglio, il vostro amico vi sussurra scherzosamente: “E’ come se tu fossi Totti, deciso nel fare il cucchiaio ancor prima di battere quel rigore in Olanda-Italia e van der Sar, fungendo da forchetta, te lo parasse!”. Esatto, momento flashback.
Lo sappiamo, in quell’estate del 2000 eravate poco più che adolescenti spensierati, impegnati a occupare i vostri caldi pomeriggi in compagnia dei vostri amici più cari, coltivando sogni di gloria, poi vanificati, dal solo tentativo di affermarsi nel mondo del calcio. Giocatori di pallone non lo siete mai diventati ma il ricordo di quel “Mo je faccio er cucchiaio” rimarrà per sempre vivo dentro di voi. Chissà quante volte l’avete ripetuto in camera, di fronte vostra mamma, molto più temuta del portierone olandese, solo perché qualche guaio era stato combinato in casa da quel magico oggetto rotondo.
Cucchiaio, appunto, la cui etimologia deriva dal latino e significa “chiocciola”, strumento in origine usato per mangiare le chiocciole. In quella gelida serata, avreste preferito ingerire delle chiocciole invece dell’amara figura rimediata, alla quale non vi siete potuti sottrarre senza subirla.
In realtà, è bastato ricordare solo qualche accenno di quell’episodio della vostra infanzia risalente al 29 giugno 2000 per controbattere animatamente che la forchetta e il cucchiaio non devono necessariamente essere messe in conflitto come tiro e parata, bensì possono sposarsi meravigliosamente come rigore e rete siglata, magari su rigore, in un sabato pomeriggio di fine novembre, magari a Marassi per riprendere una partita che sembrava persa, magari messa a segno dal tuo capitano. Che se poi risponde anche al nome di Pietro Iemmello, lo score è battuto e il dado è tratto.
“Est modus in rebus” (“Esiste una misura nelle cose”), diceva Orazio. E aggiungeremmo noi, se la misura battezzata è quella centrale, imparabile per l’estremo difensore, di poco più alta rispetta al centro della porta, simultaneamente collegata tra la linea di terra e la traversa, allora è la misura giusta. Una perla come quella designata dal numero 9 giallorosso, in occasione della firma del momentaneo 2-2 contro la Sampdoria è degna dello spaghetto con pomodoro e basilico che avevate iniziato ad assaporare come Totò in “Miseria e nobiltà”. Una scorpacciata di spaghetti analogamente all’abbondante quantità di tecnica profusa dalla ripetizione di quell’encomiabile gesto.
Attenzione, però, perché le grandi abbuffate potrebbero provocare effetti nocivi sulla salute di chi perde involontariamente il senso del controllo. Basti pensare ad uno sciagurato Maicosuel, meglio conosciuto come “O Mago”, noto ai più ai tempi dell’Udinese per via di una scelta folle che lo portò a replicare “quel pezzo di bravura”, andata decisamente in malo modo, non permettendo alla sua squadra di allora, l’Udinese, di sconfiggere il Braga ai rigori e, quindi, la possibilità ottenere uno storico accesso alla Champions League, scatenando l’ira dei suoi tifosi e del suo allenatore Guidolin.
Si sa, i folli o i geni, sta a voi decidere, sono fatti così. Così sopra le righe, abili nel dividere le folle di chi crede che compiere un atto del genere sia solo uno sprazzo cosparso da quell’irrefrenabile passione di porsi al centro del mondo altrui, anche solo per un attimo, con il rischio di “macchiarsi” indelebilmente di un target ben definito, o chi, al contrario lo reputa un gesto di ordinaria follia da spegnere ogni tanto, quasi per placare l’istinto di cui le doti di noi comuni mortali disponiamo.
A partire da quel 20 giugno 1976, in cui Panenka segnò su cucchiaio il rigore che contribuì alla vittoria dell’Europeo da parte della Cecoslovacchia. In quell’occasione “l’operaio Panenka” decise di assaporare il brodo rimasto direttamente dal piatto, forse inconsapevole dell’alto rischio di scottatura.
Come voi, con quella cameriera che proprio non riuscite a togliervi dalla testa, in una serata in cui la vostra presenza non era neppure da considerare, eppure vi trovate lì come la forchetta nella minestra o come il cucchiaio negli spaghetti, consci di voler dimostrare la vostra tesi in cui cucchiaio e forchetta possono essere sposi di un matrimonio non combinato, ma ben amalgamato.
E poi, citando il termine “Mago”; se il cucchiaio è il “mago” della cucina, vi auguriamo di presentarvi sotto mentite spoglie, eludendo il costume di Maicosuel per impiattare portate sopraffine e specialità della casa. Se non avete idea a chi rivolgervi, basta chiamare il mago (o lo chef) Pietro Iemmello. Fate voi.