Burgas, 10 febbraio 2003. Plovdiv, 8 febbraio 1966. Due ore 28 minuti di distanza, esattamente 252,2 chilometri, separano le due città che, apparentemente potrebbero essere accomunate da due variabili significative e indipendenti l’una dall’altra: entrambe sono bulgare e, in quanto tali, presentano inverni molto rigidi.
Dunque, nulla che possa comportare un qualunque rimando a quel che avviene solitamente su un campo di calcio, lì dove, abitualmente i termini “mistico” e “magico” raggiungono il massimo grado della completezza nell’ambito dei vari significati trasmessi.
Eppure, deve esserci stato un momento preciso nella vita di ognuno dei protagonisti, in cui la famosa leggenda del filo rosso del destino, deve aver avuto qualcosa di molto più simile alla realtà che all’immaginario comune, ipotizzato di frequente.
Ecco, deve essere avvenuto esattamente questo all’alba del 10 febbraio 2003, quando Nikolay Krastev vide per la prima volta suo figlio, il piccolo Dimo, per l’appunto.
Non si può dire che avesse gli stessi stati d’animo e, in cuor suo, provasse gli stessi sentimenti qualcuno che, più a Nord (nella città di Plovdiv), aveva appena conseguito la possibilità (attraverso il raggiungimento del patentino) di allenare una squadra di calcio.
Esatto, nel 2003 Hristo Stoičkov (si, il miglior calciatore della storia del calcio bulgaro), iniziava la carriera da allenatore. Comincerà dalle squadre giovanili per poi, il 15 dicembre dello stesso anno, divenire assistente tecnico del Barcellona. Dunque, nel giorno del suo trentasettesimo compleanno si trovava nella propria terra natia, probabilmente ad affrontare uno degli inverni più rigidi di sempre, o magari ripercorrendo in rassegna le proprie gesta nella celebre spedizione americana (USA ’94).
La “sua” Bulgaria otterrà il miglior posizionamento di sempre nella propria storia (classificandosi quarta nel torneo) e battuta dall’Italia di Roberto Baggio, il quale, però, vedrà “soffiarsi” il pallone d’oro proprio dallo stesso Stoičkov.
Ma questa è un’altra storia.
E’ una storia di calma, di tenacia e di classe. E’ la storia di un ragazzo partito dall’U19 del Neftochimik (squadra nella quale il padre Nikolay è allenatore e attuale direttore della Junior Academy) e passata alle giovanili della Fiorentina, di cui ben presto diverrà capitano.
E’ la storia di un ragazzo venuto da lontano che, in breve tempo, ha trovato la propria collocazione, o meglio, la propria DIMO(RA) tra le mura amiche dell’Artemio Franchi.
E’ la storia di un ragazzo nato Capitano, ancor prima di esser calciatore, difensore centrale e, all’occorrenza, mediano.
Cose che capitano (solo al Capitàno). “E’ un ragazzo che si fa voler bene”, dicono di lui gli ormai ex compagni di squadra della Primavera viola. E’ evidente che chiunque abbia pronunciato tale affermazione trovi riscontro con quel che accade quotidianamente.
Ad esempio, basti ricordare il “no” secco rifilato alla Salernitana nel gennaio scorso, dettato più che altro da una scelta di cuore, data la posizione vantaggiosa della Fiorentina nel Campionato Primavera, in lotta per assicurarsi un posto nella finale scudetto, disputata ad inizio giugno.
Qualche istante prima della semifinale playoff contro il Torino ammetterà: “La voglia di andare in finale è tanta, ma siamo pronti. Se ho detto qualcosa ai compagni? Sì, ma rimane tra noi. Siamo un gruppo meraviglioso, questa è la nostra forza”.
Leader. Capitano. Uomo spogliatoio, contrassegnato da rispetto e lealtà, perché la voglia di vincere sarà la forza pulsante, nonché motrice, delle ambizioni di un ventenne il quale, come accadeva qualche anno fa (simbioticamente ai grandi capitani del passato), preferisce che i retroscena e le cosiddette “cronache da spogliatoio” rimangano tali.
Dimo, l’esperienza permetterà di farti comprendere che “un gruppo meraviglioso” incarnerà pienamente ogni possibile sfumatura e accezione del termine solo se guidato da un capitano “meraviglioso”.
Tra passato e futuro. L’ultimo passo da compiere, si sa, è sempre quello che presenta maggiori ostacoli. Lo sa bene anche Dimo Krastev che, disputerà l’ultima partita in maglia gigliata subendo la sconfitta inflitta dal Lecce con il risultato di 0-1 nella finale scudetto del Campionato Primavera del 9 giugno scorso al Mapei Stadium di Reggio Emilia.
Sarà frutto del caso, sarà inconsuetudine o totale balistica nella scansione degli avvenimenti. Sarà che il Capitano Dimo ha già disputato gare ufficiali di fianco ad un Martinelli, che di nome fa Tommaso e che, per professione, ha scelto di fare il portiere (della Fiorentina).
No, prima d’ora Dimo non aveva mai giocato al Ceravolo, tanto meno con il Catanzaro. Eppure, evidentemente, accanto alle caratteristiche fondamentali del giocatore, da qualche parte, comparirà, nella scheda di presentazione, anche l’espressione “il ragazzo deve, necessariamente, avere un compagno di squadra o magari “sostituire” qualcuno che di cognome fa Martinelli”. Dimo lo sa bene, così come il suo amico e compagno di spogliatoio Tommaso, estremo difensore gigliato.
Sponda giallorossa, è reso noto quanto le strade di mercato e i possibili scenari ipotizzabili risultino essere infiniti e, proprio per tale accettazione, non è da escludere la possibilità che il capitano della Primavera Viola possa “dare il cambio”, quasi come fosse un passaggio di consegne allo storico Capitano delle Aquile, Luca (Martinelli) per l’appunto.
Da un Martinelli all’altro, tra il “via” della partenza e la bandiera a scacchi dell’arrivo. Quasi come avviene in una staffetta.
(D)estini tanto simili quanto diversi. Fattore D.
Se chiedessimo ad un qualunque tifoso giallorosso, di qualunque età, di qualunque epoca, cosa rappresentino le parole Catanzaro e Juventus nella stessa frase, tutti risponderebbero allo stesso modo “1-0, gol di Mammì”, eppure se ponessimo lo stesso quesito a Dimo Krastev probabilmente non esiterebbe a esclamare: “Dusan Vlahovic!”. Ebbene sì, Dusan e Dimo si conoscono dai tempi della Fiorentina, sono diventati inseparabili nello spogliatoio al punto che, prima che il serbo lasciasse la Fiesole destinazione Torino, fu la stessa Fiorentina a organizzare per loro la “Curler Challenge”, diffusasi in quel momento sui social.
Si trattava di una vera e propria sezione di tiri dalla bandierina destinati a finire in porta. Ovviamente il vincitore sarebbe stato colui che ne avrebbe “insaccati” di più.
Vincerà Dimo, che di mestiere non fa propriamente l’attaccante, ma che ogni tanto si concede lo “sfizio” del gol (avendone siglati due nella stagione appena trascorsa).
Fortezza. Non forza. Proprio fortezza. 20 anni. 195 cm x 76 kg. Qualcuno potrà mai suggerire il contrario? Roccioso. Granitico. Duro. Una fortezza per l’appunto.
Ancora meglio una sicurezza che comunque fa rima con fortezza, considerata la consapevolezza (dei propri mezzi) con la quale scende in campo, data, probabilmente, la sua giovinezza. Insomma, una certezza.
Castello. Nel quale ogni compagno di squadra ha potuto rifugiarsi. Porto di sicuro di un mare in tempesta. Nella gioia e nel dolore. Basti pensare a tutte le dimostrazioni di affetto riservate dai compagni sul proprio profilo Instagram post sconfitta con il Lecce.
Il “Brataz” (come preferisce farsi chiamare dai propri compagni) è solito condividere quasi esclusivamente post e stories riguardanti la sua professione e il conseguente lavoro sul campo, quasi a voler sancire che è giusto si sappia solo quel che viene raccontato.
Dimora. Lontano da casa, eppure “DimoRa” per tutti.
Lontano dai suoi idoli di infanzia, dalla generazione che lo ha preceduto, da quella che lo seguirà.
Lontano dagli schemi tipici della consuetudine, magari vicino alla porta (lì dove ama giocare).
Della gesta di un bulgaro contro l’Italia tutti hanno memoria (Hristo Stoičkov, in quel Bulgaria-Italia dell’ormai lontano ’94).
Della gesta di un bulgaro in Italia pochi, pochissimi hanno ricordi nitidi. Probabilmente perché la storia non è ancora stata scritta per intero.
Manca ancora qualcosa.
Chissà che non sia la volta buona.
(foto: fiorentinauno.com)