Il Catanzaro ha vinto il derby. Sì, ma dal giorno prima. Potremmo star qui a parlare di divario tecnico, maggiore organizzazione, l’esperienza di una nave che è uscita dal porto, salpando per tutti i mari, da tre anni ormai. Una nave con un timoniere che sa essere anche ottimo stratega, lasciando chiacchiere e illazioni ad altri.
Da sponda rossoblu, invece, non vanno via le incrostazioni delle polemiche, delle recriminazioni: l’infortunio del giocatore simbolo, “l’arbitro”, “il palo”, la fortuna. Finisce tutto nel pentolone delle banalità, esposte per voce del modesto allenatore Fabio Caserta (LEGGI QUI), di poche parole e pochi argomenti, il quale riscontra in primis la diversità di vedute della stessa stampa cosentina e dei sostenitori dei Lupi, che invocano a gran voce il suo esonero, ma da mesi.
Vi sono più componenti che incidono su una partita, gli episodi talvolta avversi, per carità: occorre ammettere che, ad onor del vero, l’uscita dal campo di un leader carismatico come Tutino possa aver inciso sulla psicologia dei compagni, ma per il resto non è il caso di arrampicarsi maldestramente sugli specchi, ricorrendo a facili scappatoie.
Sì, il Catanzaro è oggettivamente più forte, è acclarato ormai, ma questo non conta neanche. Un derby – “il” derby di Calabria per antonomasia – vive di emozioni che vanno oltre, di una emotività che non si può riscontrare in nessun altro tipo di impegno. E allora perché l’US si è aggiudicato anche la partita di ritorno, in una bolgia di fischi e improperi? Per la gestione dei nervi nei giorni che hanno accompagnato alla sfida.
Il precario equilibrio dei giocatori del Cosenza è emerso fin dai primi minuti della partita. Una squadra emotivamente fragile, disegnata tatticamente in maniera forse un po’ avventata, mentre Vivarini, da par suo, è andato “all in” lanciando D’Andrea dall’inizio, in quella che poteva sembrare una scelta azzardata. Azzardata, in teoria, ma azzeccata a conti fatti. L’esterno delle Aquile, contravvenendo alle proprie potenzialità tecniche ha avuto il compito di attaccare la figura di Frabotta, suo antagonista sulla corsia, al solo scopo di tenerlo occupato e in pratica annullarlo.
Spenta questa bocca di fuoco, il Catanzaro poi ha potuto giostrare con Petriccione, sempre più faro del centrocampo, e un Ambrosino che legge le situazioni con la disinvoltura del veterano, abbassandosi per ricevere palla e tirarsi addosso i marcatori, prendendo falli (il secondo giallo a Venturi nasce da una sua iniziativa), facendo a sportellate, ricucendo i reparti e giocando di ricamo.
Poi un Situm che sembra rinvigorito (e ringiovanito) e, ovviamente, l’uomo più atteso (e fischiato) della giornata, Pietro Iemmello, che ha risposto a insulti e provocazioni col suo sorriso prima – quando ha fatto capolino sul rettangolo del “Marulla” – e con l’indifferenza e il gol successivamente. Perché è lui, l’uomo del derby, c’è poco da fare.
Il Cosenza si è dimostrato gracile come in altri impegni importanti, seppur reduce dalla buona risposta avuta a Parma. Per quanto Caserta si sia sforzato di negarlo ai microfoni, l’aver rinunciato alla conferenza stampa della vigilia è stato un po’ come svelare le carte, forse sintomo di una tensione interiore. I silani hanno assorbito la carica della tifoseria, evidentemente incanalandola in modo negativo, senza il risultato sperato, se non mostrando frenesia e nervosismo, anziché tranquillità e ragionamento.
Tranquillità e ragionamento palpabili nei giocatori del Catanzaro, ad eccezione del quarto d’ora in avvia di ripresa, dov’è lecito soffrire, serrare i ranghi e allontanare i pericoli. Noi l’avevamo vinta dal giorno prima, dunque, dalla rifinitura. Da quel “vi aspettiamo sotto il settore a fine gara, per far festa insieme” annunciato al megafono, che è arrivato al cuore di tutti, generando un brivido.
In quelle parole la nostra vittoria. L’avevamo già vinta.