Spalletti e Vivarini, due destini – Il Corsivo

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Luciano Spalletti e Vincenzo Vivarini, due destini. L’estratto del brano che ha consacrato i Tiromancino nei primi anni 2000 si addice al profilo dei due tecnici come un abito di sartoria, seppur così diversi, caratterialmente.

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Ad accomunarli, oltre al fatto di aver dettato legge nei rispettivi campionati, tagliando il traguardo con anticipo siderale, ad esempio anche l’aver guidato l’Empoli, sebbene in tempi totalmente diversi.

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Anche il modo con il quale è giunta la vittoria, differisce. In serie A, anche quest’anno, obiettivamente non ha vinto l’organico sulla carta più forte, mentre la Lega Pro ha vissuto (e ammirato) lo stra-dominio di una corazzata mai vista prima, dalle qualità irrintracciabili, di norma, in terza serie. È per questo che il Catanzaro ha riscritto la storia della C, marchiando il suo nome a fuoco. 

Ma senza voler eccedere a tutti i costi in forzature e analogie che stanno in piedi con la stessa fermezza di una piramide di carte, vi è tuttavia un aspetto preminente, che ha “avvicinato” i due allenatori, nel corso della stagione: l’atteggiamento. Il modo di vivere le partite e, mai come quest’anno, le vittorie. Vittorie larghe, ineccepibili, segnate da uno strapotere in campo, senza eguali. Eppure, il modo di accogliere il successo, la gestione del successo, è praticamente uguale

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Quell’anello passato da un dito all’altro della mano, nervosamente, o il pennarello “masticato” nel corso dei novanta, raffigurano il profilo di un allenatore che, con la sua proverbiale sincerità, ha dovuto gestire momenti non facili, talvolta prendendo decisioni impopolari (Totti, il caso Icardi o Insigne) e schierandosi contro tutto e tutti, anche nei confronti di una certa stampa, che ad inizio stagione dava il Napoli non più su del settimo/ottavo posto. Ma comunque un allenatore, un timoniere, sempre coerente e fedele al suo credo e quand’è così, quando non si scende a patti, attirare delle antipatie è facile. Ma spalle forti e testa alta, attutiscono bene. 

L’immagine che meglio fotografa Vivarini? Capo chino, braccia conserte, occhi eclissati dal berretto in panchina; garbo, sorrisi dolci (e indecifrabili come la Monna Lisa) e l’invito alla cautela, ai microfoni. Mai una parola fuori posto, mai un’affermazione eclatante – a differenza del collega che, da buon “toscanaccio” spigoloso e schietto, di frasi perentorie ne spara, eccome -. Ma il tutto è frutto di una passione, indomita, di chi è unicamente “applicato” su ciò che fa.

“Lo so, sono fatto male. Chi lavora seriamente non ha il tempo per essere felice. Chi è abituato a lavorare dalla mattina alla sera, una volta ottenuto un risultato, chiude subito il sipario per ritrovare un’altra ‘scena’ che possa ridare felicità. Siamo impostati così! Siamo contenti, ma la dimensione grossa della contentezza non riusciremo mai a subirla, perché si è proiettati verso un altro obiettivo che, secondo me, è ancor più importante”. Se non specificassimo che l’autore di queste parole è Luciano Spalletti, si potrebbe pensare che, a pronunciarle, sia stato Vincenzo Vivarini. Perché è la descrizione fedele della forma mentis del tecnico di Ari. La sua fototessera. 

Altro punto in comune, il tourbillon di sensazioni scatenate dopo la vittoria, fin dal “day after”, legate a faccende extra-campo, alle carte, al contratto. Così come la tifoseria giallorossa ha vissuto gli ultimi due mesi (dal “dopo Arechi” in poi) con apprensione – tra voci più o meno attendibili e indiscrezioni – la vicenda legata al rinnovo del tecnico, risolta solo la scorsa settimana con l’acclamazione dei presenti durante la festa dell’US (LEGGI QUI), ai piedi del Vesuvio si sta scrivendo un canovaccio simile. L’ex tecnico di Roma e Inter appena pochi giorni fa ribadiva “ho definito tutto nel corso di una cena, non c’è stata necessità di fare alcuna trattativa, non ho rifiutato nessun aumento di stipendio, non è vero che sono in attesa di altre squadre”, rispedendo al mittente le illazioni. Tuttavia, dopo gli ultimi sviluppi, pare che tra il tecnico di Certaldo e il Napoli sarà divorzio. Ed è questa la sostanziale differenza tra i due: uno, si è “sposato” al progetto Catanzaro per un altro biennio, l’altro vede la sua avventura, molto probabilmente, giungere al capolinea. 

Ma se è vero che “uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli”, una figura carismatica come Luciano Spalletti non può non essere padrone del proprio cammino, in totale autonomia di pensiero, indipendentemente da come si chiuderanno i giochi, a breve. Del resto, certi uomini non conoscono la via del compromesso, ma la rettitudine dettata dalla propria dignità.

E a proposito di destini – in questo caso, destini incrociati – l’attenzione della tifoseria catanzarese si sposta inevitabilmente su ciò che segneranno le settimane da qui in avanti, perlomeno fino al ritiro umbro. Pensiero che merita il punto di domanda (e la speranza) è il destino di Andrea Ghion. Colui che, a dispetto della sua giovane età, ha preso in mano la direzione d’orchestra, si è speso in un pensiero agrodolce mediante i suoi account social, alla stregua dei compagni, nel valzer degli “arrivederci” aperto in queste ore. 

Suggellato il matrimonio col mister per altri due anni, lo step che tutti auspicano a questo punto è avere ancora il talentuoso centrocampista in prestito dal Sassuolo, pedina essenziale nello scacchiere di Vivarini. 

Sarebbe un passo in avanti, in vista di una B che si punta ad onorare, rendendola come dimensione della città di Catanzaro, da sempre appigliata al calcio come principale ascensore sociale (e vettore economico, parliamoci chiaro), proprio come vorrebbe l’amato Don Nicola Ceravolo, la cui memoria è stata celebrata sabato mattina, in occasione del trentacinquesimo anniversario dalla sua morte. E per rendere omaggio al “Presidentissimo”, non ci sarebbe niente di più bello che tentare un giorno, chissà, il grande sAlto.

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