Catanzaro vive una rinascita. La sua rinascita, attesa, bramata, da anni.
Una rinascita sportiva, legata alla rinascita socioculturale di un territorio, perché a queste latitudini, da sempre, il pallone è vettore economico, è quell’ascensore sociale che consente ad un popolo di voltare pagina, di rilanciarsi e, finalmente, consacrarsi.
Ma non è solo Catanzaro: la Serie B è inneggiata da gran parte della Calabria, che proprio grazie ai colori giallorossi è entrata nell’olimpo del Calcio qualche decennio fa.
È storia: la storia occorre studiarla a fondo, conoscerla e trarre degli insegnamenti che possano ripercuotersi positivamente sul nostro presente. E l’entusiasmo generato dalle Aquile ha un sapore antico, per molti inedito, specie per le nuove generazioni che, tutt’al più, sono stati testimoni – loro malgrado – di un Catanzaro diviso tra campi come Melfi, Isola del Liri o l’attigua Nicastro e, fino ad oggi, per loro, il punto massimale di esaltazione è rappresentato dalla promozione della stagione 2011/12, che ha intervallato disfatte playoff e due salvezze raggiunte per il rotto della cuffia. In quest’asse temporale, poco di cui essere felici, orgogliosi, quindi. Ma quanto fatto oggi, un orgoglio senza precedenti, è destinato a scriverla, la storia.
Eppure, in questo clima di ritrovato entusiasmo, ottimismo e gioia, vi è un senso di rammarico, innescato da una serie di motivazioni.
Un senso di rammarico, ad esempio per quei calciatori che, giocoforza, hanno trovato meno spazio, ma non può essere altrimenti, nel calcio: si gioca in undici, si subentra al massimo in cinque! Quel rammarico che alberga in mister Vivarini, consapevole dell’enorme valore della rosa costruita dalla società e per la quale giocatori, che sarebbero titolarissimi dappertutto, il più delle volte si sono accomodati in panchina a soffrire e gioire per i compagni in campo, incitandoli instancabilmente.
Tornano alla mente le parole del tecnico, allora, quando parlava di “problemi di qualità e meritocrazia, non di abbondanza” in un organico stellare. E la prova la si è avuta al “Partenio” di Avellino, domenica scorsa, dove il Catanzaro – con alcuni interpreti diversi dalla consuetudine – non ha minimamente snaturato la sua essenza, stritolando anche il malcapitato Giugliano. Ecco, sì, meriterebbero di giocare tutti dal primo minuto, in questo Catanzaro. Ma chi ha raggranellato un minutaggio inferiore è comunque anello essenziale di questa solida catena di professionisti e uomini e non vogliamo fare della demagogia. Uomini, sì.
È proprio questo che suscita altro rammarico: il fatto che, alcuni di loro, inevitabilmente andranno via, perché è il corso naturale delle cose, dello sport, del calcio. Quindi dispiace un po’ perché questi ragazzi si sono affermati nelle nostre vite da tifosi come fossero dei familiari, gli amici da invitare per una cena in casa o con cui fare la gita fuori porta. Ma sono le leggi del calcio, ancor più se si considera che la serie B consente un limitato numero prestabilito di cosiddetti “over”.
C’è del rammarico e – ci venga consentito – un senso di sdegno nel leggere la motivazione della delibera del Giudice Sportivo con la quale ha lanciato una sorta di “ammonimento” (anzi, avvertimento) nei confronti del Catanzaro Calcio, per quei tifosi che – citando un estratto della nota – si sarebbero resi protagonisti di “cori espressione di discriminazione razziale”. No, non è così: i tifosi catanzaresi – con gli ultras in prima linea – hanno riscosso dappertutto elogi e ammirazione, da parte di altre tifoserie, addetti ai lavori e stampa nazionale. È questo il volto della passione catanzarese, nulla che abbia a che vedere con quanto riportato in un comunicato che ravvisa altro e ci permettiamo di essere perplessi e – appunto – rammaricati.
C’è del rammarico per quelli che, pur presenti nei momenti di festa, come a Salerno o nel giorno della celebrazione al termine della gara contro il Pescara, a posteriori hanno detto “ormai non serve andare in trasferta, perché siamo stati promossi”. Gli stessi che rivendicherebbero uno stadio da 30mila posti, salvo poi venir meno nei momenti delicati che una stagione può annettere.
CAPITOLO STADIO, dunque. C’è del rammarico, infine, per quanto emerso nelle scorse ore, non che fosse un fatto inedito o sconosciuto: il “Ceravolo”, così com’è, ad oggi non è idoneo per un campionato di Serie B. C’era da immaginarselo, per questo la cosa non ci coglie di sorpresa, ma costituisce davvero una beffa per la cittadinanza, dopo circa un ventennio di sofferenze e disfatte sportive.
Sulla colonne della Gazzetta del Sud, il direttore generale Diego Foresti ha parlato di “corsa contro il tempo”, per la società e l’amministrazione comunale, al fine di eseguire quella parte di lavori essenziali che garantirebbero il regolare avvio del torno nel proprio impianto. Ipotesi tutt’altro che aleatoria, una (o più) partite da disputare in campo neutro, all’inizio del prossimo campionato, proprio per consentire i tempi tecnici (tra burocrazia e realizzazione delle opere) per gli interventi urgenti, ai quali sarà destinato il primo “blocco” di tre milioni di euro, dei nove erogati dalla Regione Calabria.
Alludiamo al rifacimento del terreno e dei sistemi di irrigazione e drenaggio, alla sala var ed alla tribuna stampa, all’impianto di illuminazione e alla predisposizione di un numero adeguato di servizi igienici.
Ecco, c’è un senso di rammarico, perché ciò “macchierebbe” in parte l’entusiasmo della città. Una città che non aspettava altro. Una città che merita la sua opportunità di rinascita.